È in pieno svolgimento la campagna dell’uva da tavola che sta premiando gli sforzi compiuti e le energie profuse.
Di seguito il parere di Francesco Durante, responsabile export e marketing della Spontella srl.
Grappoli bianchi, rossi e neri hanno oramai invaso i corridoi della GDO come pure le preziose scaffalature delle boutique della frutta.
Non si sono ancora placati gli echi dei vertiginosi aumenti che hanno penalizzato l’agricoltura.
“Il settore energetico in pochi mesi è schizzato di oltre il 50 percento mentre per i fertilizzanti abbiamo registrato incrementi che oscillano tra il 20 ed il 30 percento. Bisogna evidenziare che la Federazione Russa e l’Ucraina sono tra i maggiori produttori mondiali di fertilizzanti e dopo l’inizio del conflitto è pressoché impossibile reperirli”.
L’elenco non finisce qui.
“Decisamente no. Nel conteggio bisogna includere le impennate della plastica, dell’imballaggio, del ferro. Quanti avevano i magazzini pieni di scorte si sono avvantaggiati. Gran parte delle cause vanno ricercate nel fermo che parecchie industrie sono state costrette a subire a causa del covid per cui hanno lavorato a ritmi blandi per un paio d’anni e sino a quando non avranno soddisfatto gli ordini precedenti subiremo qualche altro aggravio”.
Lo schizzo del prezzo dei carburanti ha penalizzato i trasporti.
“Non raramente accade che il costo del prodotto agricolo è inferiore a quello del trasporto. Per chi utilizza i container e deve attraversare il Canale di Suez si trova di fronte ad una situazione paradossale con aumenti che superano anche il 400 percento”.
Guardando il bicchiere mezzo pieno ci accorgiamo che l’import dei prodotti agricoli non crea eccessiva concorrenza.
“Infatti sui mercati si vede poca frutta e ortaggi provenienti dal Sudafrica, dall’Oceania, dal Sud America”.
L’uva da tavola sta gratificando.
“La qualità del grappolo è sicuramente eccellente, la commercializzazione un tantino inferiore. Nel periodo vacanziero la gente consuma meno frutta, ma ci rifaremo a settembre. Sono particolarmente avvantaggiati quei produttori di seedless che esportano nelle piazze del Centro e Nord Europa dove l’uva senza semi ha soppiantato quasi del tutto le varietà di uva con semi. Questa regge ancora bene nei paesi dell’Est, ma per quanto ancora?”.
In compenso la Spagna è sempre agguerrita.
“Negli ultimi anni gli iberici hanno migliorato tantissimo la qualità del chicco e noi facciamo fatica a competere con loro. Andrà parecchio meglio da ottobre quando la loro produzione sarà ultimata”.
Gli spagnoli sono competitivi non solo per la qualità ma anche per il prezzo.
“Vi è una differenza abissale tra il mondo agricolo ispanico e quello italiano. La proprietà italiana è troppo frammentata e composta nella stragrande maggioranza di piccoli e medi proprietari agricoli, da noi chi possiede 20 o 30 ettari è considerato un medio terriero, in Spagna un proprietario medio possiede 500, 600 ettari. Ciò significa maggiore potere di contrattazione in fase di acquisto e ancor più nella fase di vendita”.
Di qui la necessità di associarsi e di consorziarsi.
“L’indole dell’italiano è quella dell’individualista. Facciamo fatica a fare squadra e a ragionare con finalità cooperativistiche, in particolar modo al Meridione si incontrano maggiori difficoltà”.
Altro freno sono le royalty.
“Si tratta di una gabella alla quale non si può sfuggire. In sostanza chi vuole coltivare le nuove varietà deve firmare un contratto che vincola l’azienda agricola a pagare le royalty e spesso anche commercializzare l’uva con gli uffici delle società che detengono il brevetto vegetale”.
Un capestro che non riguarda solo l’uva da tavola ma anche le pesche, gli agrumi ed alcune specie di frutta. In Spagna hanno aggirato l’ostacolo istituendo una società statale per gestire i brevetti vegetali.
Per troppi anni il mondo accademico italiano si è disinteressato delle problematiche concrete degli agricoltori, le università hanno investito solo qualche spicciolo nella ricerca ed i risultati sono lampanti.
bg